sabato 29 ottobre 2011

Esplode la rabbia dei greci la folla caccia il Presidente

di Matteo Alviti liberazione 29 ottobre 2011
Nella storia della Grecia moderna non era mai capitato. Karolos Papoulias, il presidente della repubblica, ieri è stato costretto ad abbandonare la manifestazione organizzata per celebrare l'anniversario dell'entrata in guerra di Atene nel secondo conflitto mondiale, nel 1940.
Per le vibranti proteste popolari, Papoulias ha dovuto lasciare il palco d'onore, da cui avrebbe salutato l'ormai tradizionale parata militare organizzata ogni anno a Salonicco. E che invece, nel "quarto anno di grazia" della crisi economica e internazionale che ha messo in ginocchio il paese, è stata annullata.
Centinaia di manifestanti hanno protestato duramente, a Salonicco, contro la lunga serie di tagli draconiani imposti dal governo di centro-sinistra del premier socialdemocratico Giorgos Papandreou, che guidato dalla mano della troika composta da Unione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale ha colpito tutto quel che c'era da colpire. Stipendi e salari del settore pubblico e privato, pensioni, beni dello stato, occupazione, mercato del lavoro, contrattazione nazionale: niente è, né sarà più come prima.
Dure proteste, ieri, anche ad Atene, per l'altrettanto tradizionale parata degli studenti. Molti dei giovani, che hanno sfilato con una fascia nera al braccio in segno di lutto per la scomparsa dell'istruzione, per protesta hanno voltato la testa dalla parte opposta al palco che ospitava le autorità. I ragazzi hanno così voluto togliere il saluto a quella che considerano essere una delle principali responsabili del disastro in cui è piombato il sistema formativo greco: la ministra della pubblica istruzione Anna Diamantopoulou. Anche ad Atene si sono verificati scontri tra manifestanti e polizia alla fine della parata, abbandonata in fretta dalle autorità.
Dopo il vertice di Bruxelles di mercoledì notte, Papandreou è convinto che la Grecia abbia più possibilità di prima di uscire dalla crisi. Secondo il premier socialdemocratico il taglio del 50% del debito greco in mano ai privati non peserà sulla liquidità del paese, né sulle pensioni o sulla sovranità nazionale, come avevano presagito le opposizioni. Per Papandreou la Grecia è «un paese a potenziale illimitato», ha detto giovedì sera in un discorso televisivo: «Dobbiamo però lavorare tutti insieme. La crisi ci dà l'occasione di cambiare la Grecia e l'accordo di Bruxelles ci dà il tempo per farlo». Per il leader del partito socialista Pasok, che sembra distante anni luce dai mal di pancia della piazza, i risultati del vertice dell'eurozona dimostrano che «i nostri partner nell'Ue riconoscono gli sforzi del popolo greco e ne vogliono il successo».
Intanto l'agenzia di rating Fitch ha reso noto ieri che presto potrebbe rialzare la valutazione sulla Grecia, portandola dall'attuale ‘CCC' a ‘B'. Tutto dipende da come verrà tradotto l'accordo sul taglio del 50% del debito in mano ai privati (banche, assicurazioni, fondi pensione), un passo fondamentale, scrive Fitch, per riportare le finanze di Atene a un punto sostenibile. Ma c'è un ma: prima di arrivare alla rivalutazione Atene dovrà probabilmente scendere al tanto temuto default, quattro gradini più in basso, alla ‘D'. Un passaggio che potrebbe innescare altri problemi. La nuova valutazione di Fitch dipenderà da quale percentuale di creditori privati - oggi in possesso di 210 miliardi di debito pubblico greco - si assoggetterà al taglio "volontario". Fitch stima un buon 85%.
E se le banche internazionali hanno dovuto accettare "a malincuore" il taglio, quelle greche se la passano veramente male. Oltre ai 30 miliardi di euro che si stima saranno persi con l'"haircut" - la riduzione del debito di cui sopra - gli istituti di credito locali hanno anche detto addio, in due anni di crisi, a circa un quinto dei capitali depositati dalle famiglie greche, più o meno 38 miliardi di euro. Per le banche è un lento stillicidio: niente fuga di massa, code ai bancomat o agli sportelli, solo una continua diminuzione, che potrebbe metterle ora in ginocchio.

Documento del Coordinamento: “No debito”

Ripartire Dai Contenuti E Dalla Democrazia

La Bce in agosto ha mandato una lettera al governo italiano in cui chiede di distruggere tutto lo stato sociale, tutti i nostri diritti, di mettere all’asta i nostri beni comuni, per pagare le cambiali del nostro debito alle banche e alla speculazione finanziaria internazionale. Berlusconi alla fine ha risposto, accettando tutte le condizioni capestro e mettendocene anche qualcuna in più.
Non si tratta più solo dell’annuncio della libertà di licenziamento, sempre desiderata e sempre più vicina, visto l’articolo 8, visti i ricatti aziendali, vista la distruzione dei diritti e l’estensione della precarietà. Oggi un tallone di ferro schiaccia il mondo del lavoro e ogni misura di flessibilità e di liberalizzazione serve solo a calare i salari e i diritti, a sfruttare di più. Per questo l’accordo del 28 giugno non è un freno ma è una inutile resa a questa aggressione.
Ma a tutto questo si aggiungono le misure apparentemente più neutre, a partire dall’avanzo primario di bilancio, che significa in realtà la distruzione di ciò che resta dello stato sociale, per finanziare le banche. E si aggiungono le privatizzazioni e le liberalizzazioni. Così si cancella la nostra democrazia, tradendo il referendum di giugno, ove la grande maggioranza degli italiani aveva detto no alla privatizzazione dell’acqua e dei beni comuni. Siamo all’opposto di ciò che grida il movimento occupy wall street: non ci si preoccupa di ciò che chiede e di ciò di cui ha bisogno il 90% della popolazione, ma si difendono gli interessi e il potere della parte più ridotta, del 10%.
La lettera di intenti di Berlusconi è semplicemente una cambiale sulla nostra democrazia. Bisogna rifiutarla oggi, con le lotte e con la mobilitazione democratica: ci trattano come la Grecia, dobbiamo reagire come il popolo greco. Per difendere la nostra democrazia le opposizioni e i sindacati devono dire prima di tutto che quelle lettere non valgono nulla e non sono esigibili. Altrimenti la crisi della nostra democrazia affonderà nella palude delle finzioni. La lettera della Bce, la lettera di Berlusconi vanno strappate in faccia all’Europa, altrimenti sono tutte chiacchiere.
La drammatica evoluzione della crisi italiana, l’aggressione sempre più estesa ai diritti sociali e civili, danno ragione al percorso che abbiamo iniziato il 1° ottobre e mostrano tutta la validità e tutto il potenziale della mobilitazione del 15 ottobre.
Chi ha manifestato in quel giorno, così come chi lotta in Val Susa, nelle scuole, nelle università, nelle fabbriche, nei territori e nelle città, oggi non è solo contro il governo Berlusconi, ormai alla conclusione della sua parabola, ma anche contro quel potere economico finanziario che nel nome del debito vuol far pagare alla maggioranza della popolazione tutti i costi della crisi. La manifestazione del 15 ottobre, le iniziative che l’hanno preceduta, erano quindi contro due avversari: il governo e, assieme ad esso, la Bce e la dittatura finanziaria che sta distruggendo i diritti in tutta Europa.
Gli scontri del 15 ottobre e la successiva loro gestione mediatica hanno oscurato per alcuni giorni tutto questo. Si è così prodotta una regressione del confronto, si è tornati indietro di molti anni e sono state cancellate le novità vere della mobilitazione. Questa regressione è un risultato negativo che non può essere ignorato. Il problema non è riproporre una divisione tra buoni e cattivi nelle lotte e nei movimenti. La questione di fondo è quella della autodeterminazione dei movimenti e delle lotte, che le manifestazioni successive al 15, da quella dei metalmeccanici a quelle della Val Susa, hanno esemplificato.
Una manifestazione composita, plurale ma unitaria non può essere spinta e segnata da scelte che la manifestazione del 15 ha subìto, percepito in gran parte come ostili e, soprattutto, mai discusso. Nessuno può imporre pratiche e azioni di distruzione durante il corteo, che si sono ritorte contro la manifestazione stessa. La questione non è quella della rabbia esistente e del modo di farla valere e vedere. La questione è quella che nessuno può imporre le proprie modalità a tutto il movimento, né soprattutto può imporre scelte che la grande maggioranza non condivide. Allo stesso modo affermiamo che la gestione della polizia a piazza San Giovanni è stata evidentemente irresponsabile e ha prodotto la radicalizzazione e la generalizzazione degli scontri.
Riteniamo però a questo punto che non si possa andare avanti all’infinito in questa discussione. Occorre prendere atto che la manifestazione del 15 ha determinato questo risultato negativo e trovare le modalità per cui il proseguimento delle iniziative, reso indispensabile dall’aggravarsi della crisi, non ripresenti gli stessi problemi. Questa è la ragione per cui riteniamo necessaria una discussione di merito politico tra tutte le forze che hanno in comune la lotta contro la globalizzazione e la politica della Bce e dell’Unione europea. L’ultimatum consegnato al governo pochi giorni fa, a cui Berlusconi ha risposto con la sua vergognosa lettera, conferma che abbiamo due avversari. Oltre al governo Berlusconi, dobbiamo essere contro l’Unione europea così come è oggi, con la dittatura delle banche e della finanza che impone le sue scelte a tutti i governi.
La manifestazione del 15 conteneva un vuoto politico e una debolezza, che si è cercato di affrontare anche con proposte come quella dell’accampata, che avevano lo scopo di affermare una radicalità necessaria e diversa da quella delle manifestazioni tradizionali. Questa debolezza politica era accentuata dal fatto che la manifestazione del 15 appariva di più come una scadenza importata, nel quadro di un appuntamento internazionale di grandissimo valore, piuttosto che un obietto di lotta nostro. Occorre una piattaforma precisa, oggi, contro gli avversari italiani ed europei dei diritti sociali e civili; per questo pensiamo che non sia riproducibile nel nostro paese l’esperienza dei social forum. Esauritasi l’esperienza del social forum italiano e in profonda crisi quella europea, è necessario pensare a nuove modalità di costruzione e a una precisa piattaforma da collocare in spazi politici pubblici italiani ed europei.
Abbiamo quindi lanciato il 1° ottobre un movimento contro il pagamento del debito, contro la dittatura delle banche, con 5 punti sul piano sociale e politico che per noi rappresentano una reale alternativa. Abbiamo anche sottolineato che oggi come oggi non solo il centrodestra, ma anche il centrosinistra non assumono questi temi e anzi, in molti casi, ne sono addirittura controparte. Per questo abbiamo rivendicato la necessità di un nuovo spazio politico pubblico che dia legittimità piena a rivendicazioni politiche e sociali oggi assolutamente estranee a gran parte dell’attuale sistema rappresentativo. Su questo, secondo noi, si deve sviluppare il confronto, se si vuole mantenere il dialogo tra espressioni diverse del movimento.
Occorre quindi che da ogni parte si faccia la scelta precisa di rinunciare all’egemonia e di aprirsi al confronto di merito. Noi non pretendiamo di essere tutto il movimento, così come pensiamo che nemmeno altre forze o gruppi lo siano. Tutti insieme, misurandoci concretamente sulle differenze e sui contenuti, siamo in grado di costruire grandi iniziative. Ma per superare la crisi del 15 ottobre occorre un’operazione di verità e non il diluvio di polemiche.
La crisi politica nel nostro paese rende sempre più chiaro che la nostra democrazia è commissariata dal regime delle banche e della finanza d’Europa. Per questo comprendiamo la diffidenza che si sviluppa tra chi lotta, rispetto a tutte quelle istituzioni che sorridono alle mobilitazioni, salvo poi sostenere scelte economiche e politiche che vanno esattamente contro i contenuti di esse.
Il futuro dei movimenti in Italia è quindi fondato sull’indipendenza dall’attuale quadro politico. Questo è il punto su cui si deve davvero discutere, anche misurandoci sulle diverse opzioni. Forse questo è il punto su cui si è discusso meno, occorre cioè una pratica democratica assembleare dove ci si confronti davvero sulla piattaforma, dal debito, al lavoro, all’ambiente, alle questioni sociali, alla democrazia. Non è più tempo di diplomatismi o di minimi comun denominatori, abbiamo visto che questi creano una debolezza politica che viene poi coperta da altre scelte e altre forze.
Se vogliamo uscire dalla sindrome del post 15 ottobre dobbiamo quindi affrontare con democrazia, partecipazione e rispetto una grande discussione democratica sui contenuti della nostra piattaforma.
Per queste ragioni il nostro movimento, appena iniziato il 1° ottobre, decide di rilanciare la compagna e l’organizzazione della lotta contro il debito e per una vera alternativa sul piano economico, sociale e democratico. Andremo avanti, sui contenuti e nella ricerca di forme nuove di partecipazione e democrazia, disposti e interessati al confronto con tutti, ma nella consapevolezza che la crisi italiana è troppo grave per continuare con inutili polemiche.
Il comitato promotore del movimento No debito, dà appuntamento il 17 dicembre a Roma per una grande assemblea, preceduta da iniziative e incontri in tutto il territorio del paese.

Comitato promotore “No debito”


I sindacati di base danno battaglia.Indetto uno sciopero generale di tutte le categorie pubbliche e private per l'intera giornata del 2 dicembre


I sindacati di base danno battaglia. Ieri Usb, Slai Cobas, Cib-Unicobas e Snater hanno indetto uno sciopero generale di tutte le categorie pubbliche e private per l'intera giornata del 2 dicembre. Una mobilitazione indetta contro le manovre del governo e le politiche dell'Unione europea che tutelano banche e finanza e fanno pagare la crisi ai lavoratori e alle fasce più disagiate, contro l'attacco ai diritti dei lavoratori, contro l'accordo tra sindacati e Confindustria che - scrivono su un comunicato - «ha aperto la strada all'art 8 della manovra del governo e alla cancellazione dei contratti nazionali». Durante lo sciopero saranno comunque garantiti i servizi minimi essenziali.

29 ottobre 2011 no carbone a Vado







lunedì 24 ottobre 2011

Il 29 ottobre giornata di mobilitazione nazionale contro il carbone,presiodio a Vado Ligure

Sabato 29 Ottobre 2011
Dalle ore 15.00 alle ore 18.00
Giornata di Mobilitazione Nazionale Contro il Carbone

Contro L’uso Del Carbone, Per Un Lavoro Degno,
Per Contrastare I Cambiamenti Climatici E Tutelare La Salute
Dando Speranza Al Nostro Futuro

PRESIDIO A VADO LIGURE - QUILIANO
davanti centrale Tirreno Power in via A. Diaz vicino rotatoria-stele

La CENTRALE a CARBONE di Vado - Quiliano e l'Italiana Coke di Cairo Montenotte, producono troppe sostanze tossiche (polveri ultra fini – metalli pesanti – Idrocarburi policiclici aromatici-PCB). Secondo l’ORDINE dei MEDICI, in provincia di Savona la mortalità e morbilità sono molto superiori alla media regionale, specie per tumori – infarti – ictus.

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Unitiallabase aderisce alla giornata di mobilitazione nazionale e sarà presente con un proprio striscione al presidio organizzato a Vado Ligure condividendo e sottoscrivendo la piattaforma
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I cittadini esigono scelte di rispetto della SALUTE e del lavoro, in tutta la provincia di Savona nel settore agro-alimentare e turistico.

Per migliorare la situazione sanitaria ed economica, garantendo
l'occupazione dei lavoratori, è indispensabile:

sostituire gli attuali gruppi a carbone, non a norma per mancanza
dell'autorizzazione AIA, con gruppi a metano o con fonti rinnovabili;

evitare il potenziamento a carbone;

l'ambientalizzazione della Italiana Coke.

Aderisci alla giornata di mobilitazione scrivendo a unitiallabase@gmail.com

Promuovono la partecipazione:

Amico Giorgio (pensionato ex insegnante)
Bolla Nicolò (insegnante)
Boveri Giuseppe (Docente)
Capici Beppe (Segreteria ALLCA-CUB, operaio Verallia Dego)
Cornetti Giuliana (Consigliera per le pari Opportunità)
Cubeddu Francesco (CobasptCub)
Filisetti Vilma (SPI CGIL e Direttivo Camerale CGIL Savona, ex insegnante)
Garbarino Valtero (USB INPS)
Ghiso Valeria (Direttivo Provinciale e Regionale FLC CGIL, insegnante)
Icardo Giampiero (RSA Cartiera Bormida e Segreteria CUB-Informazione)
Loschi Maurizio (Segreteria Provinciale Flaica Cub, operaio)
Loschi Nives (CUB-Pensionati)
Maritano Claudia (Artigiana)
Melandri Roberta (precaria della scuola)
Mocco Furio (lavoratore Ferrania Technologies)
Murru Antonio (Segreteria ALLCA CUB
Nichelatti Maurizia (Spi CGIL ex insegnante)
Perotti Paola (segretaria CUB Sanità)
Reverdito Maria Teresa (USB INPS)
Vigna Marco (RSU Infineum e Direttivo Nazionale ALLCA CUB)
Ronco Silvana (Cittadina Indignata)
Paolo Tosi 
Tambuscio Adriano (pensionato FFSS)

Unitiallabase Savona: Collettivo di compagne e compagni attivi contro la crisi

venerdì 21 ottobre 2011

Il 29 ottobre giornata di mobilitazione nazionale contro il carbone


Ecco il testo dell'appello per la mobilitazione contro il carbone e la manifestazione nazionale a Porto Tolle del 29 ottobre prossimo.
Contro l'uso del carbone, per un lavoro degno, per contrastare i cambiamenti climatici e tutelare la salute dando speranza al nostro futuro
Appello per una manifestazione nazionale nel Polesine e presidi davanti alle centrali a carbone
La scelta di incrementare l'uso del carbone per la produzione di energia elettrica è una scelta nociva e sbagliata, soprattutto oggi che i cambiamenti climatici costituiscono una minaccia per il futuro del Pianeta e le fonti rinnovabili, insieme all'efficienza energetica, rappresentano l'alternativa efficace e praticabile. La combustione del carbone in centrali elettriche rappresenta, infatti, la più grande fonte "umana" di inquinamento da CO2, più del doppio di quelle a gas. A parole tutti sono per la lotta ai cambiamenti climatici, ma in Italia si fanno scelte in senso contrario, nonostante l'Unione Europea abbia assunto la decisione di ridurre entro il 2020 di almeno del 20% le emissioni di gas serra, rispetto ai livelli del 1990.
Il carbone è anche una grave minaccia per la salute di tutti: la combustione rilascia un cocktail di inquinanti micidiali (Arsenico, Cromo, Cadmio e Mercurio, per esempio), che coinvolgono un'area molto più vasta di quella intorno alla centrale. L'Anidride solforosa emessa, combinandosi con il vapore acqueo, provoca le piogge acide, per non parlare dei danni alla salute derivanti dalle polveri sottili.
La consapevolezza del legame tra danno ambientale e minacce per la salute umana, con inevitabili costi per la collettività, dovrebbe ormai costituire una consapevolezza comune. Ciò nonostante, e per mere convenienze proprie legate all'attuale prezzo del carbone (peraltro in salita), alcune aziende insistono per costruire nuove centrali a carbone o riconvertire centrali esistenti.
Con i recenti referendum oltre 26 milioni di italiani hanno rivendicato il diritto a decidere del proprio futuro, un futuro in cui i cambiamenti climatici non raggiungano livelli distruttivi per l'ambiente, il benessere e la stessa specie umana, un futuro di vera sicurezza energetica, un futuro di vera e stabile occupazione. In contrasto con questa ampia richiesta popolare Governo, Enel e altri lanciano invece un "piano carbone" che, oltre a Porto Tolle, riguarda la riconversione di vecchie centrali come Vado Ligure, La Spezia, e Rossano Calabro, o addirittura la costruzione  di nuove centrali come Saline Ioniche, con un livello di investimenti, pubblici e privati, dell'ordine di 10 miliardi di euro. Con buona pace del risparmio energetico e delle fonti rinnovabili. Rivendichiamo il diritto a essere coinvolti in scelte chiare, fondate su strategie e piani condivisi e non dettati dalle lobby energetiche, ma dall'interesse di tutti e dal bene comune.
Proponiamo il territorio polesano come laboratorio nazionale per cominciare ad immaginare ed attuare l'alternativa energetica, per uscire dalle fonti fossili.
Cominciamo questo percorso con una giornata di mobilitazione nazionale contro il carbone il 29 ottobre, e con una manifestazione nazionale nel Polesine.
A Porto Tolle, l'Enel vuole - anche con modifiche alle leggi e alle normali procedure, operate da una politica compiacente - convertire una centrale a olio combustibile in una centrale a carbone della potenza di 2000 MW, nel mezzo del parco del Delta del Po. Questa centrale a carbone emetterebbe in un solo anno 10 milioni di tonnellate di CO2 (4 volte le emissioni di Milano), 2800 tonnellate di ossidi di azoto (come 3.5 milioni di auto), 3700 tonnellate di ossidi di zolfo (più di tutti i veicoli in Italia), richiedendo lo smaltimento di milioni di tonnellate di gessi e altre sostanze.
La centrale a carbone di Porto Tolle non ha alcun senso.
La riconversione avverrebbe al di fuori e contro di ogni strategia di riduzione delle emissioni di anidride carbonica (strategia che ancora oggi non c'è) e persino di ogni logica energetica, dal momento che l'Italia ha una potenza istallata quasi doppia rispetto al picco della domanda, al punto che i produttori di energia elettrica lamentano che gli impianti vengono oggi usati per un terzo della loro potenzialità.
Non solo: oggi le maggiori prospettive di nuovi posti di lavoro, nel mondo e in Italia, sono nei settori delle fonti rinnovabili e dell'efficienza energetica, con numeri che in alcuni Paesi ormai superano l'industria tradizionale; al contrario, la centrale a carbone porrebbe a rischio l'occupazione già esistente, e quella futura, nell'agricoltura, nel turismo e nella pesca.
La riconversione a carbone avverrebbe con una tecnologia di combustione che, pur spinta ai suoi migliori livelli, resta sempre assai più inquinante di quella basata sul gas naturale, e dannosa per la salute; nel caso di Porto Tolle, i dati di rilevazione e le epidemiologie mostrano che l'inquinamento e i danni sanitari si estenderebbero per buona parte della Pianura Padana.
Il ricatto occupazionale di ENEL, dunque, va rifiutato da tutti con dignità e fermezza, perché oggi più che ieri il futuro è nell'economia sostenibile per l'ambiente e la salute, tanto più che, sul piano occupazionale, la bonifica dell'area ed una sua riconversione verso impianti e produzioni nel settore delle energie rinnovabili pulite darebbero lavoro stabile e sicuro ad un maggior numero di persone.
Con la giornata del 29 ottobre ci rivolgiamo a tutti, anche a coloro che subiscono il ricatto occupazionale, nel Polesine e ovunque in Italia vi siano centrali a carbone o progetti di costruzione di nuove centrali o di ampliamento di quelle esistenti, per rifiutare tutti insieme la contrapposizione tra lavoro ambiente e salute, cominciando  invece a costruire un lavoro dignitoso, una società basata sull'interesse comune e non sugli interessi di poche lobbies, sulla possibilità di un futuro per tutte e tutti.
Promotori
Alternativa, AltraMente scuola per tutti, AltroVe, Arci, A Sud, Cepes, Circolo culturale AmbienteScienze, Comitato Energiafelice, Comitato SI' alle Rinnovabili NO al nucleare, Coordinamento Veneto contro il carbone, Ecologisti Democratici, Fare Verde, Federconsumatori, Focsiv - Volontari nel mondo, Forum Ambientalista, Greenpeace, ISDE-Medici per l'Ambiente, Italia Nostra, Kyoto Club, Legambiente, Lipu, Movimento difesa del cittadino, Movimento Ecologista, OtherEarth, Rete della Conoscenza (Uds-Link), RIGAS, Slow Food Italia, WWF, Ya Basta.

Indignati Savonesi a Roma Di Matteo Loschi

Diario di una giornata di lotta dei savonesi aderenti alla manifestazione dell'indignazione europea (e non solo)

Da savonanews.it 

Un video da creatv.tv

Alcuni momenti della manifestazione

 

giovedì 20 ottobre 2011

Dopo il 15 ottobre, un'assemblea pubblica per «ripendere il cammino»

Il testo dell'appello che lancia l'assemblea pubblica di  venerdì 21 ottobre al cinema Palazzo di Roma.
Roma 21.10: riprendere il cammino Dopo il 15 ottobre, un'assemblea pubblica per guardare avanti
20 / 10 / 2011

Sono già moltissimi i commenti delle singole realtà e individualità che, a nome proprio, stanno ricostruendo e interpretando gli accadimenti avvenuti nella manifestazione del 15 ottobre. Queste prese di parola compongono un quadro molto differenziato ma ancora incapace di proporre un punto di vista comune in grado di rilanciare una nuova fase di movimento. Partiamo dunque da qui, dalla necessità di ricostruire una discussione pubblica di movimento che punti ad assumere per intero, senza reticenze e opacità di comodo, la problematicità dei fatti accaduti nella manifestazione di sabato a Roma, guardando però alla strada che dobbiamo costruire in avanti.
Una discussione pubblica, però, non è affatto un contenitore vuoto e indeterminato. Si costituisce a partire da alcune premesse preliminari e discriminanti. Se non ci si intende sulle premesse, meglio non discutere.

La manifestazione del 15 ottobre ha dimostrato che le lotte che in questi ultimi anni si sono date in Italia contro la crisi economica hanno avuto la forza di aprire uno spazio di movimento potenzialmente maggioritario nella società, capace di parlare a milioni di persone. L’enorme partecipazione e la variegata composizione sociale che l’ha animata stanno lì a dimostrarlo. La manifestazione del 15 non è mai stata, se non nella testa di componenti minoritarie, schiave della loro mediocre identità, il campo di contesa per le rappresentanze di movimento. È stata, come nel resto del mondo, il punto di convergenza e di proliferazione dei conflitti contro la dittatura finanziaria.

È questo spazio comune, conquistato dalle lotte, ad esser stato preso di mira e in ostaggio, tanto dall’azione di gruppi che hanno esplicitamente messo in pericolo, senza alcun senso politico, lo svolgimento della manifestazione, quanto dal comportamento delle forze dell'ordine che hanno attaccato in modo indiscriminato, costringendo le persone che si trovavano a Piazza San Giovanni a difendersi come potevano.
La restrizione degli spazi di agibilità democratica, così come la delazione di massa sui social network sono l’effetto, politico e sociale, della chiusura di questa possibilità di comporre la molteplicità dei punti di vista, delle forme di conflitto e di espressione.
Noi questo spazio dobbiamo riaprirlo!
Innanzitutto respingendo in modo categorico la riedizione, fuori tempo massimo, del dibattito sulla violenza e la non violenza. Per noi quello che distingue una pratica da un’altra è la sua capacità di modificare lo stato di cose presenti, di connettere, di allargare il consenso e creare le condizione per un’altra società. Da qui si riparte. Dalla constatazione, realistica, che i movimenti sono oggi maturi per definire un nuovo processo costituente, fatto di una radicalità in grado di costruire istituzioni sociali incentrate sulla democrazia dei beni comuni.
Non lasceremo a nessuno la possibilità di ridurre tutto questo: è la stessa maturità dei movimenti del presente a necessitare oggi più che mai di definire, da sé, la sua capacità di autodeterminarsi, di stabilire i suoi criteri di legittimità.
Per questo lanciamo un’assemblea pubblica, venerdì 21 ottobre presso il Cinema Palazzo, Sala Vittorio Arrigoni, piazza dei Sanniti, 9/A dalle ore 17. Per rilanciare insieme ed uscire dalla morsa che stringe il nostro futuro.
Action – diritti in movimento, Angelo Mai Altrove, Anomalia Sapienza/UniCommon Roma, Assemblea di Medicina (Sapienza), csa Astra, csoa Corto Circuito, Esc – atelier autogestito, Horus Project, Point Break – studentato occupato e autogestito, csoa La Strada, csa Onda Rossa 32, RadioSonar, csoa Sans Papiers, csoa Spartaco, Strike Spa

Come guidare il default italiano


Di Guido Viale Da Il Manifesto del 05/10/2011.

Il fallimento di uno Stato (il cosiddetto default) non è un evento puntuale ma un processo. L'evento puntuale è la dichiarazione con cui lo Stato comunica che non intende più o non è più in grado di pagare alcuni dei suoi debiti: cioè di rimborsare alla loro scadenza i titoli (bond) che ha emesso.
L'evento può assumere varie forme: se la cosa avviene "inaspettatamente" può gettare nel caos il paese debitore, ma anche alcuni dei paesi creditori (quelli le cui banche o i cui risparmiatori hanno accumulato quei bond) e, poi, il resto del mondo; o quasi. Oggi la cosa sembra impensabile; ma abbiamo di fronte anni di turbolenza finanziaria che renderanno sempre più difficile prepararsi a eventi del genere. Oppure può assumere forme "pilotate", con accordi che ripartiscano gli oneri del default tra debitore e creditore, cercando di contenere i danni; può avvenire in forma parziale, attraverso la promessa di rimborsare solo una parte del valore nominale dei bond; o in forma "selettiva", differenziando l'entità del rimborso a seconda della tipologia dei creditori (garantendo un rimborso maggiore ai piccoli risparmiatori, uno minore ai grandi investitori nazionali e uno ancora inferiore o nullo a quelli esteri). Oppure può avvenire sterilizzando il
debito, il cui valore nominale resta inalterato, ma il cui rimborso viene procrastinato nel tempo.
Scelte del genere non comporterebbero necessariamente "l'uscita dall'euro" degli Stati insolventi: non ci sono "procedure per farlo" - e non è una cosa semplice - e scatenerebbero una fuga dall'euro di tutti gli Stati a rischio; cioè la dissoluzione della moneta unica, gettando l'Europa in un caos anche peggiore. Inoltre, non è detto che il ritorno a una moneta nazionale comporti, per lo Stato in default, un recupero di competitività con una svalutazione e il ritorno a una bilancia dei pagamenti in equilibrio. Se il tessuto produttivo non c'è, o è inadeguato, la svalutazione non basta per togliere quote di mercato ai più forti in campo tecnologico e amministrativo: soprattutto in un mercato in contrazione, come sarà quello europeo, e mondiale, nei prossimi anni.
In ogni caso, di fronte a una stretta del credito (credit crunch) potrebbero svolgere un ruolo decisivo la creazione e la moltiplicazione di "monete" a base locale emesse, in circuiti ristretti, su basi fiduciarie. È un tema che meriterebbe maggiore attenzione. Le conseguenze delle alternative qui prospettate non sono ovviamente le stesse; ma in tutti i casi il default non è una passeggiata: una notevole contrazione della circolazione monetaria, della produzione, dell'occupazione legata alle attività in essere, dei redditi e del potere di acquisto è inevitabile, come lo sono una fuga di capitali - se le reti per intercettarli non sono adeguate - un blocco degli investimenti esteri e privati e l'impossibilità, per diversi anni, di ricorrere a nuove emissioni (cioè di fare altri debiti). Ma, a ben vedere, questi non sono che in minima parte "effetti" dell'evento default, bensì i fenomeni che lo precedono e lo preparano: sono il default come processo.
Quello che stiamo vivendo.
Prendiamo il caso della Grecia. È palesemente in default da oltre un anno: da quando Papandreou ha preso atto delle condizioni in cui era stato lasciato il bilancio dello Stato. Non avrà più, per decenni, la possibilità di ripagare il suo debito, ma nemmeno di far fronte agli interessi per rinnovarlo alle scadenze. Le politiche imposte dalla "troika" dell'Unione europea (Commissione, Bce, Fmi) ne strangolano l'economia rendendo
irreversibile la corsa al default. Tuttavia solo da qualche settimana alcuni economisti mainstream cominciano a dirlo e qualche politico o banchiere a prospettarlo. Gli speculatori invece lo sanno da tempo (stanno acquistando bond greci a un terzo del loro valore nominale, perché, quando il default sarà dichiarato, la Bce glieli ricomprerà al doppio). Ma allora, perché la troika non impone subito alla Grecia un default pilotato? Perché nel frattempo, con la scusa di evitarlo, la depreda; cioè, la fa depredare dalla
finanza internazionale che è il suo mandante: stipendi, occupazione, pensioni, sanità, scuole, servizi pubblici, spiagge, isole, porti, tutto viene messo in vendita - a prezzi di saldo, per costituire il "tesoretto" da devolvere ai creditori; e per cedere alla finanza internazionale i beni comuni del paese. Questo è il default come processo.
E l'Italia? Siamo sulla stessa strada, a una tappa di poco precedente: ma anche il processo del nostro default è in pieno corso. Le imposizioni della Bce all'Italia sono state dettagliate nella lettera "segreta" di Trichet e Draghi, che contiene un vero e proprio programma di governo; il che manda all'aria le lamentele di coloro che attribuiscono la crisi in corso alla mancanza di un vero governo dell'Unione europea: quel governo invece c'è, eccome! Solo che non fa quello che chi ne denuncia la mancanza vorrebbe che
facesse. Anzi, fa l'esatto opposto; e non per insipienza, ma per corrispondere agli interessi di chi manovra i cosiddetti mercati; che poi mercati non sono, bensì potere di vita e di morte sull'intero pianeta. Il programma di governo di Draghi e Trichet è uguale a quello che sta accompagnando la Grecia al default: privatizzazione dei servizi pubblici e dei beni comuni, taglio delle pensioni, degli stipendi e dell'occupazione nel pubblico impiego (scuola e sanità al primo posto); abolizione dei contratti, libertà di licenziare; azzeramento del deficit a suon di tasse sui meno abbienti.
Ha quel programma la minima possibilità di rimettere in sesto l'economia italiana? Di rilanciare la crescita (parola magica e assolutamente vuota in nome della quale si giustifica ogni assalto alle condizioni di vita di intere nazioni)? Dimenticando tra l'altro che la crescita (del Pil) si sta dileguando in tutta Europa e segna il passo, o sta per farlo, anche nei principali paesi "emergenti", cui era affidata la speranza di un traino dell'economia mondiale fuori dalle secche della crisi. E dimenticando, soprattutto, che un
nesso tra la crisi economica e l'impossibilità di una crescita illimitata in un pianeta finito ci deve pur essere (ma si contano sulle dita di una mano, anche tra gli economisti non mainstream, quelli che se ne ricordano). L'economia italiana, quand'anche raggiungesse il pareggio di bilancio con le manovre decise e quelle ancora da fare (cosa improbabile), avrebbe pur sempre 70 miliardi di interessi da sborsare ogni anno (il 5 per cento del Pil); in più, per rispettare il patto euro-plus, dovrebbe recuperare ogni anno il 5 per cento del 40 per cento del suo debito (40 miliardi circa: un altro 3 per cento di Pil): una cura da cavallo a cui anche un tessuto produttivo come quello italiano - che pure ha potenzialità maggiori di quello greco - non potrà che soccombere. In un mondo percorso da continue turbolenze finanziarie e da una crescita evanescente, l'economia italiana non potrà mai raggiungere performances sufficienti a centrare obiettivi del genere. Il default come processo è quindi in corso. Certo la situazione potrebbe cambiare se cambiassero le regole di governance dell'euro. Se la Bce emettesse gli eurobond (ma forse non basterebbe); se potesse creare moneta come fanno le vere banche centrali; se l'Unione europea adottasse politiche fiscali comuni a tutti gli Stati; se si varasse subito una consistente Tobin tax; se. Ma non sta succedendo nulla di tutto ciò; e niente lascia pensare che succeda. A meno che.A meno che gli Stati messi alle corde - come hanno fatto banche e assicurazioni nel 2008 - non prendano atto che il coltello dalla parte del manico ce l'hanno i debitori e non i creditori, perché sono too big to fail, mettendo in campo la vera alternativa del momento: quella tra il default come processo e il default come evento, fatto compiuto. Allora sì che l'Europa correrebbe ai ripari! Certo ad adottare una politica del genere non sarà l'attuale governo, né quello che si sta allenando a bordo campo con la benedizione di Confindustria: quella che ha coccolato per diciassette anni Berlusconi dimostrando - tra l'altro - di essere un allenatore da strapazzo. Questa alternativa è un varco obbligato per chiunque accetti di dare voce alle forze, sempre più ampie, sempre meno disperse, sempre più transnazionali, che ieri dicevano «la vostra crisi non la paghiamo» e che oggi hanno tradotto questo comune sentire in un obiettivo preciso: «il debito non si paga!» Certo un obiettivo del genere non basta: ci vogliono anche non grandi opere per rilanciare la crescita, come è nella proposta degli eurobond e negli sproloqui di Confindustria, bensì programmi di conversione ecologica: promozione delle energie rinnovabili, efficienza energetica, agricoltura e mobilità sostenibili, riciclo totale nella gestione di risorse e rifiuti, manutenzione del territorio e rinaturalizzazione di quello non costruito, accoglienza e istruzione per tutti e tutte le età, ricerca mirata alla conversione; e poi, reperimento delle risorse "mettendo le mani nelle  tasche" di quegli italiani che Berlusconi e Tremonti hanno protetto per anni; e azzerando gradualmente produzioni e opere inutili o dannose. Ma se non si affronta in modo radicale il nodo del debito, la politica scompare (anzi, non ricompare più) perché vuol dire che si accetta come fatto compiuto il trasferimento della sovranità dal popolo ai "mercati"

mercoledì 12 ottobre 2011

Report sulla riunione del comitato promotore Dobbiamo Fermarli svoltasi l'11 ottobre









Il comitato promotore dell'assemblea del 1° ottobre, si è riunito martedì 11 ottobre per fare un primo bilancio dell'assemblea e indicare una prima tabella di marcia del percorso avviato.
Le valutazioni sull'assemblea al teatro Ambra Jovinelli sono state tutte positive sia per la partecipazione numerica che per lo spirito unitario dell'iniziativa. E' un segnale di controtendenza importante che ben si coniuga con i contenuti dell'incontro e del percorso messosi in moto con l'appello "Dobbiamo fermarli".
Che la prima assemblea sia andata molto bene è un punto di partenza incoraggiante ma non sufficiente.
Per questo motivo è indispensabile avviare il percorso sui passaggi indicati e condivisi nel documento finale approvato dall'assemblea del 1° ottobre.
Il comitato promotore invita tutte e tutti gli aderenti all'appello Dobbiamo Fermarli a:
  • rispettare lo spirito unitario che anima il comitato promotore nazionale anche a livello locale, cercando in tutti i modi di far convergere le/i singoli, le forze organizzate e i soggetti che hanno condiviso l'appello e i cinque punti del programma. E' un passaggio un po' più difficile in alcune realtà ma che va esperito con convinzione a tutti i livelli;
  • convocare entro il 20 novembre le assemblee locali dei firmatari dell'appello e di quelli che via via ne stanno condividendo il progetto. La costruzione dei coordinamenti locali, è un passaggio fondamentale. Le assemblee locali dovranno approfondire la discussione e l'elaborazione sui cinque punti del programma e cominciare a immaginare l'articolazione locale del lancio della campagna nazionale “Noi il debito non lo paghiamo”. A tale scopo è stata approntata una bozza di testo di una petizione popolare, come strumento per i banchetti e il lavoro di massa sulle parole d'ordine della campagna. L'approvazione definitiva del testo è in via di discussione ma è a buon punto
  • per sabato 17 dicembre sarà convocata una nuova assemblea nazionale nella quale le/i portavoce designate/i dai coordinamenti locali relazioneranno sui risultati delle assemblee e dei coordinamenti locali. Al termine dell'assemblea verrà lanciata la campagna nazionale vera e propria in tutti i suoi aspetti.
  • tra il 15 e il 30 novembre verrà organizzato un seminario di approfondimento con esperti (economisti, giuristi) sulle proposte che verranno avanzate nella campagna (sul non pagamento del debito, sul referendum contro i diktat della Bce, ecc.)
  • sono stati creati tre gruppi di lavoro: uno che preparerà il seminario con gli economisti (F. Russo, M. Casadio, P. Pagliani); uno che curerà l'organizzazione (F. Burattini, E. Papi); uno che curerà la comunicazione (S. Bianchi, J. Venier, G. Chiesa, S. Cararo).
Relativamente alla manifestazione del 15 Ottobre
Il comitato promotore valuta positivamente che l'indicazione di contestazione della Banca d'Italia e della Bce messa in campo già dal 26 settembre con la conferenza stampa di presentazione dell'assemblea del 1° ottobre e della campagna “Noi il debito non lo paghiamo” realizzata proprio a ridosso della sede della Banca d'Italia, sia diventata una indicazione di massa e condivisa da settori crescenti dei movimenti sociali, sindacali e giovanili.
L'assemblea del 1° Ottobre ha deciso la partecipazione alla manifestazione del 15 Ottobre contro quello che ha definito il “governo unico delle banche” sia a livello nazionale che europeo. Ritiene che la piattaforma della manifestazione sia inadeguata rispetto alla realtà del conflitto sociale e alle responsabilità della crisi. La mobilitazione europea del 15 Ottobre ha infatti un chiaro segno anticapitalista che nella convocazione italiana è venuto attenuandosi in modo evidente.
Staremo in piazza con un nostro spezzone unitario e rappresentativo di tutte le realtà che hanno aderito all'appello con un camion con amplificazione e con lo striscione: “Contro l'Europa delle banche – Noi il debito non lo paghiamo – Dobbiamo Fermarli” (vedi l'immagine dello striscione nel file allegato).
L'appuntamento è alle ore 12.30 davanti al museo di Palazzo Massimo (angolo tra Piazza dei Cinquecento e Piazza della Repubblica - vedi mappa nel file allegato).
Il nostro striscione sarà nel corteo fino alla sua conclusione in piazza San Giovanni ma sosterremo le iniziative che intenderanno dare forza, conflittualità e continuità alla giornata di mobilitazione europea del 15 Ottobre.

giovedì 6 ottobre 2011

15 Ottobre 2011 Roma Giornata di Mobilitazione Europea e Internazionale

15 Ottobre 2011 Roma
Giornata di Mobilitazione Europea e Internazionale

La Commissione Europea, La Banca Centrale Europea, il Fondo Monetario Internazionale, le banche, le finanziarie nazionali e multinazionali stanno imponendo con la forza  ai governi europei, complici e succubi, i dogmi e il primato del mercato, della speculazione finanziaria e del pareggio di bilancio.
E’ in atto un impoverimento costante della popolazione italiana ed europea.
In Italia il valore trasferito dai salari ai profitti ammonta a più di 7.000 euro annui procapite per ogni cittadino italiano. (Marco Revelli: Poveri ,noi)
Nel casinò della speculazione finanziaria globale sono stati bruciati da 28 a 100 trilioni di dollari, pari a 1,8 volte il PIL mondiale (calcoli e stime della Oxford Economics).
Ben lontani dal rimettere in piedi una economia già di per sé anarchica e traballante, le misure adottate hanno bruciato milioni di posti di lavoro, portato al fallimento migliaia di imprese, distrutto professionalità e diritti alla sopravvivenza di milioni di persone, regalando fra il 2007 ed il 2010,una cifra tra i 12 e i 15 trilioni di dollari / euro per salvare le maggiori banche e compagnie assicurative troppo grandi per fallire, (Luciano Gallino Finanzcapitalismo), e per farlo hanno contratto debiti di miliardi di euro con le stesse.
Per recuperarli, hanno tagliato le pensioni, i servizi sociali, il lavoro, i diritti,la sanità, la scuola, la cultura, i servizi pubblici locali, la democrazia.
In particolar modo nella sanità questo ha portato alla chiusura di ospedali e reparti, rinvio delle operazioni e delle visite, aumenti dei tickets, peggioramento delle condizioni dei degenti e dei lavoratori del settore.

Questa cura non farà altro che peggiorare la malattia.
Per questo un movimento popolare che si sta estendendo a livello europeo e mondiale afferma che noi questo debito non lo pagheremo, non è il nostro.

Riprendiamoci il nostro diritto di cittadinanza e di scelta come fondamento di democrazia reale.
Partecipa con noi alla manifestazione internazionale di Roma del 15 Ottobre insieme al popolo greco, al popolo spagnolo, al popolo europeo.

United for global change
Dobbiamo fermarli

Aderisci a questa mobilitazione internazionale scrivendo a unitiallabase@gmail.com
Organizziamo pullman per Roma

Promuovono da Savona la partecipazione a questa manifestazione:
Amico Giorgio (pensionato ex insegnante)
Bolla Nicolò (insegnante)
Boveri Giuseppe (Docente)
Capici Beppe (Segreteria ALLCA-CUB, operaio Verallia Dego)
Cornetti Giuliana (Consigliera per le pari Opportunità)
Filisetti Vilma (SPI CGIL e Direttivo Camerale CGIL Savona, ex insegnante)
Garbarino Valtero (USB INPS)
Ghiso Valeria (Direttivo Provinciale e Regionale FLC CGIL, insegnante)
Icardo Giampiero (RSA Cartiera Bormida e Segreteria CUB-Informazione)
Loschi Maurizio (Segreteria Provinciale Flaica Cub, operaio)
Loschi Nives (CUB-Pensionati)
Maritano Claudia (Artigiana)
Melandri Roberta (precaria della scuola)
Mocco Furio (lavoratore Ferrania Technologies)
Murru Antonio (Segreteria ALLCA CUB
Nichelatti Maurizia (Spi CGIL ex insegnante)
Perotti Paola (segretaria CUB Sanità)
Reverdito Maria Teresa (USB INPS)
Vigna Marco (RSU Infineum e Direttivo Nazionale ALLCA CUB)

Unitiallabase Savona: Collettivo di compagni e compagne attivi contro la crisi

martedì 4 ottobre 2011

La Photo Gallery dell'assemblea

La delegazione da Savona e Valbormida




La sala si sta riempiendo








L'introduzione di Giorgio Crmaschi

Alcuni striscioni