sabato 21 luglio 2012

Bersani e Vendola aggiornate il calendario. Di Giorgio Cremaschi

Nel disinteresse generale il parlamento ha approvato il fiscal compact.
E questo disinteresse, costruito dalla disinformazione di regime, è l'ultimo segnale del disfacimento della nostra democrazia.
In tutta Europa di Europa si discute e sull' Europa ci si divide. In Irlanda si è fatto un referendum.
Da noi una camera quasi vuota e con l'assenza dei principali leaders, approva il più brutale e vasto servaggio economico della storia repubblicana.
Secondo quel patto, che i cittadini non per colpa loro ignorano, l'Italia si impegna a dimezzare in venti anni lo stock del debito pubblico. Cioè dobbiamo pagare 1000 miliardi, 50 all'anno. In aggiunta  agli interessi che ora ci costano 80 miliardi all'anno.
Insomma un costo paragonabile alle riparazioni di una guerra perduta. E di guerra infatti ha parlato Monti, guerra l popolo italiano.
Il fiscal compact non può minimamente essere rispettato senza portare il reddito e le condizioni sociali del paese indietro di un secolo, esattamente come si sta facendo in Grecia, Spagna, Portogallo. Ma di tutto questo la politica italiana non discute, quella di centro sinistra meno di tutte.
In una recente intervista Bersani ha parlato di alleanza di progressisti e moderati, ma che ridicolo teatrino è?
Se si rispetta il fiscal compact si dovrà continuare ed estendere il massacro sociale. Se lo si mette in discussione, si dovrà rompere con Monti, Draghi, Merkel e ..Napolitano.
Tutto il resto sono chiacchiere. Esattamente quelle che fanno per non pagare dazio Bersani e gli altri tifosi del vecchio centrosinistra come Vendola .
Tutti costoro fanno finta di non essere in questa  Europa delle banche, che detta le decisioni alla politica.
Aggiornate il calendario signori.  Non siamo alla vigilia delle elezioni del 2006. Allora il centro sinistra imbrogliò con un programma di 200 pagine e altrettante versioni, volete riprovarci oggi?
Diteci con onestà se volete continuare con la politica di Monti o rompere con essa.
Dateci con onestà la ragione di fondo per non votarvi.

martedì 17 luglio 2012

Monti non si emenda. Ci vuole conflitto vero


Iintervista a Giorgio Cremaschi di Francesco Piccioni - tratto da Il Manifesto di domenica 15 luglio 2012
Giorgio Cremaschi e il paradosso del presente: «Abbiamo il governo socialmente più di destra della storia e poche lotte sociali» Cgil e Pd incarnano un riformismo degli anni '80 e '90 ormai morto. Ma anche noi siamo ancora troppo esitanti.
Quale futuro per il movimento dei lavoratori? 
Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato Centrale della Fiom, si è sempre posto da un punto di vista originale. E anche stavolta non delude.
Il quadro legislativo sul mercato del lavoro è completamente mutato...
Trovo delle terribili somiglianze con la Francia di Petain, all'inizio del '40. La riduzione del danno, come oggi, era lo slogan anche di quei tempi.
Anche l'Italia è un paese occupato, per fortuna non militarmente, da banche e finanza. E Monti è il rappresentante di questo potere. Siamo di fronte a una crisi della democrazia senza precedenti, cui corrisponde una passività senza consenso, una fuga dalla difesa dei diritti di massa.
C'è il governo socialmente più di destra della storia, ma il conflitto sociale più basso della storia recente.
C'è una via d'uscita?
Non può che essere la rottura con tutto questo modo di pensare, con il petainismo sociale, politico, culturale; e porsi in sintonia con tutti quei movimenti e forze che si mobilitano per rovesciare l'Europa delle banche, non
per emendarla.
Come si fa una «rottura» quando invece c'è una «passività di massa»?
Questo è il lavoro di costruzione che devi fare, non si può dare colpa alla gente. Lo scoramento enorme, che si traduce anhe nel voto di protesta a Grillo
- con cui peraltro bisogna misurarsi e discutere - richiede una risposta
innanzitutto da parte dei gruppi dirigenti. Siamo di fronte alla fine di un
trentennio di «concertazione sindacale» e alla crisi del «riformismo» di
centrosinistra. Entrambi sono morti che camminano.
Eppure le imprese avevano tratto grandi vantaggi dalla concertazione...
È stata sostanzialmente uno scambio. Il concetto fondamentale era che si rafforzava il ruolo politico e istituzionale del sindacato, che in cambio consentiva il peggioramento delle condizioni dei lavoratori. Sono sempre stato totalmente critico su questo, proprio perché ha disgiunto il destino del sindacato da quello dei lavoratori; originando la burocratizzazione sindacale di questi anni. Fino all'inizio di questa crisi avevamo la dinamica salariale peggiore dell'Ocse e i sindacati organizzativamente tra i più forti dell'Ocse.
La spia che qualcosa non va...
Monti la mette in discussione da destra, noi da sinistra. Lui ha bisogno di mostrare che il sindacato viene umiliato, così lo «sconta» in borsa. «Deve» peggiorare le condizioni dei lavoratori, e farlo in modo che si veda. Non può fare come Padoa Schioppa nel 2006, che diceva: «siamo d'accordo con la
Thatcher, però ci mettiamo più tempo perché vogliamo mantenere la concertazione». Monti è l'espressione del modello dello spread, del rating, della finanza, della fine della sovranità nazionale e anche della sostanziale
eutanasia della nostra democrazia. Lui deve poter dire: «ho umiliato i sindacati, quindi fate abbassare lo spread». La concertazione è morta come il riformismo degli anni '80 e '90, cui invece si aggrappa ancora il Pd.
Il fiscal compact toglie ogni margine al riformismo?
Possono pensare alla sopravvivenza degli apparati per un po'. E trovare qualche mezza vittoria elettorale finché dall'altra parte c'è una figura sgonfia e superata come Berlusconi. Ma sono politiche che non portano da nessuna parte perché accettano la subalternità all'occupazione finanziaria. Non si può parlare di «centralità del lavoro», come fa Fassina e la «sinistra del centrosinistra», se accetti il fiscal compact.
Prevede vent'anni di tagli...
Si tratta di accettare che il lavoro diventi una variabile totalmente dipendente dalla politica del debito. Dietro il fiscal compact c'è l'idea della destra liberale alla Draghi, che vuol distruggere il modello sociale europeo
per ricostruire la «competitività» dell'Europa con una società low cost.
Fornero, Monti, Marchionne sono la stessa identica cosa.
Come giudichi la reazione fin qui della Cgil?
Mi pare evidente che agli occhi dei lavoratori il sindacato, la Cgil, ha delle responsabilità gravissime. Il suo gruppo dirigente si è perso senza combattere.
Nel giro di 9 mesi c'è stata una serie di colpi: le pensioni, l'art. 18, le tasse, ecc. C'è stata una «macelleria sociale» senza nessuna visibile reazione, soprattutto senza nessuna capacità di costruire una rottura e un'alternativa.
Le battute in tv contro Monti o Fornero diventano persino irritanti per un sindacato, se non corrisponde loro nulla sul piano dell'iniziativa.
Paradossalmente, il sindacato più forte d'Europa è diventato il sindacato più inutile d'Europa. Agli occhi dei lavoratori è una cosa terribile, perché aumenta la passività, la voglia di arrangiarsi...
Ma la Fiom non è stata passiva...
La Fiom è stata un punto di contrasto importantissimo. Due anni fa, il «no» della Fiom a Pomigliano è stato un messaggio universale, non «di fabbrica». Si era intuito che Marchionne era non il «dopo Cristo», ma Giovanni Battista che annunciava l'avvento. Allora Bersani disse che Pomigliano si poteva accettare
purché fosse un eccezione; con la stessa ottusità con cui oggi dice Monti può essere «solo una parentesi». Non è così. Sono processi strategici contro cui bisogna costruire rottura e alternativa. Ripeto: la Fiom l'aveva cominciata, però mi pare che abbia rinunciato. Perché non si possono fare queste scelte come «emendamento» al centrosinistra, senza porsi il problema di cambiare totalmente la Cgil. Le scelte di rottura richiedono profondi cambiamenti di assetti politici, gruppi dirigenti, linee di fondo. Credo che uno degli errori
fatti in quest'ultimo periodo dal gruppo dirigente sia quello di lasciare «appese» le sue dichiarazioni di fondo e non trarne le conseguenze sul piano delle scelte dentro la Cgil, sul piano dei rapporti sociali con i movimenti.
Forse riproduce un errore che è tipico delle forze a sinistra del Pd. Che vogliono tutte essere «unitarie», ma da sole.
Non cercano di fare fronte?
Bisognerebbe mettere assieme un fronte di tutti coloro che sono a sinistra del Pd, che non accettano più la concertazione sindacale e la «riduzione del danno». In Italia non si è prodotto un fenomeno come Syriza perché, nei momenti di crisi, l'aspetto soggettivo è decisivo. C'è ancora un'autoferenzialità in
tutti coloro che pure lottano, e che impedisce l'idea del fronte comune. E c'è una parte non piccola di forze di sinistra, sociali e politiche, che pensa ancora che si possa avere il cambiamento in alleanza con il Pd.
È possibile una polarità indipendente, politica e sindacale?
Sul piano sindacale bisogna lavorare per la rottura con la politica di questi trent'anni di concertazione e ricostruire una pratica conflittuale, su un programma economico di fatto «anticapitalista». Penso a una drastica riduzione di orario, a un investimento pubblico che vuol dire metta mano alle banche...
Un sindacato, se vuole ripartire, deve avere un grande programma economico di rottura anticapalistica. Penso che la stessa cosa debba avvenire a livello politico e che non si può farlo insieme a chi accetta Monti. Da Rete28aprile ora siete Opposizione organizzata. Perché?
Per due cose: una è accentuare, rispetto ad altri pezzi critici della Cgil, la pratica dell'opposizione. Oggi chi non è d'accordo con la linea prevalente in Cgil deve essere visibile, deve fare delle cose. I lavoratori devono sapere che c'è. C'è un malessere profondo. Due giorni fa l'assemblea sul contratto della gomma plastica, a Roma, è finita nel caos. Il gruppo dirigente di Cgil, Cisl e Uil ha rifiutato tutti gli emendamenti che venivano dai luoghi di lavoro, la gente ha abbandonato la sala... Quindi occorre ripartire con una pratica in cui
i lavoratori, i delegati, pesano e si organizzano. Occorre una vera e propria autorganizzazione del dissenso Cgil. Secondo: bisogna lavorare per l'unità di tutte le forze che non ci stanno con la concertazione, dentro e fuori la Cgil, fra i movimenti sociali e i sindacati di base, senza settarismi. Poi, c'è anche una questione di carattere politico. Molti di noi fanno parte anche del movimento «No debito». Pensiamo che, senza smanie elettorali, sia compito della sinistra sindacale anche operare per costruire una sinistra politica
alternativa al Pd.
Tra la resistenza e la resa può esistere una via di mezzo?
Non c'è. La resistenza è anche un progetto. Per esempio la riduzione generalizzata dell'orario di lavoro, drastica, in tutta Europa, è il solo modo per affrontare la disoccupazione di massa. Non ce ne sono altri. Ma qui occorre riaprire il conflitto con il profitto. Non c'è nessuna collaborazione possibile oggi con chi cerca di uscire dalla crisi con il supersfruttamento del lavoro e ripristinando le condizioni del profitto. L'altra linea, quella cui allude il gruppo dirigente di Cgil e Cisl, l'«alleanza dei produttori» - Camusso e Squinzi contro Monti - mi pare una linea in cui i lavoratori pagherebbero ancora dei prezzi. Ma che non avrebbe nemmeno nessuna vera credibilità politica. E' un percorso obbligato, il nostro; ma non vuol dire che ci si
riesca perché, purtroppo, il guasto economico e morale prodotto in questi ultimi trent'anni è enorme.

Lettera aperta alle opposizioni a Monti

Martedì 17 Luglio 2012 08:29
Ci rivolgiamo a tutte le organizzazioni, movimenti, persone che in questi mesi hanno maturato o hanno confermato un'opposizione di fondo al governo Monti e alle controriforme da esso fatte, in atto o annunciate. A chi si oppone a tutta la politica di austerità europea che ispira il governo e rifiuta il pareggio di bilancio nella Costituzione, il *fiscal compact*, i patti di stabilità che distruggono lo stato sociale.
Ci rivolgiamo a chi sinora ha lottato e lotta contro le terribili conseguenze sociali e civili della politica del governo.
Ci rivolgiamo a chi rifiuta l'idea di una democrazia sospesa e in via di esaurimento e quella di un governo sottoposto al voto dello spread e dei mercati, invece che a quello dei cittadini
La nostra proposta è di incontrarci per costruire in autunno una grande manifestazione nazionale che abbia lo scopo di mostrare in Italia ed in Europa che l'opposizione al governo Monti esiste e che, senza sottovalutare
la portata e l'effetto dei colpi subiti, non intende rinunciare alla lotta, ma anzi vuole ripartire.
Oramai è chiaro che la politica del governo è destinata a continuare. Il Presidente della Repubblica, verso il quale fortissima è la nostra critica, ha già affermato che chiunque vinca le prossime elezioni, il programma di
austerità che produce il massacro sociale dovrà continuare e nessuna delle forze politiche che sostengono il governo ha detto cose diverse. Lo stesso pretendono la Bce, il governo tedesco, la finanza e il grande capitale multinazionale.

Per questo non si può pensare che ci sia solo da aspettare che finisca la nottata: senza la ripresa di un movimento sociale e politico di opposizione essa non finirà, mentre oggi la mobilitazione in Italia contro la politica unica europea è tra le più  basse del continente e della nostra storia.

Per questo proponiamo un incontro che abbia come discriminante netta il no alle politiche di austerità in Italia e in Europa e al governo Monti e dunque l'indipendenza e l'opposizione rispetto a tutte le forze politiche
che lo sostengono. Questo in unità con tutti coloro che, a partire dalla Grecia e dalla Spagna, le combattono e in collegamento con l'assemblea dei movimenti prevista a Madrid per settembre.
Sappiamo che il 15 ottobre del 2011 ha prodotto divaricazioni e rotture ancora non ricomposte ed è evidente che per superarle ed evitare che si ripetano occorrerà un confronto leale e con garanzie reciproche che nessuno eserciterà primogeniture, egemonie, forzature.
Conosciamo e viviamo le difficoltà, ma chiediamo di provarci.

In pochi mesi il governo Monti ha distrutto il sistema pensionistico pubblico, ha cancellato l'articolo 18, ha messo in liquidazione sanità e scuola pubblica, si prepara alla vendita all'incanto dei beni comuni,
mentre disoccupazione, precarietà, supersfruttamento dilagano nel lavoro privato come in quello pubblico. Il sostegno della maggioranza di unità nazionale e della grande informazione, la passività e la subalternità di
Cgil, Cisl e Uil lasciano il campo libero ai poteri forti mentre cresce un vuoto terribile nel quale sempre più persone vivono isolamento e frustrazione.
Dobbiamo reagire assieme per pesare e per farlo dobbiamo incontrarci per provare assieme a decidere.

Il Coordinamento del Comitato NoDebito
Roma luglio 2012

Genova 11 anni dopo : una sentenza smisurata che vuole essere un monito per il futuro

Genova 11 anni dopo:

una sentenza smisurata che vuole essere un monito per il futuro.

Ad 11 anni dai fatti di Genova e dopo la decisione della Cassazione è proprio il caso di dire:
ingiustizia è fatta. La sentenza infatti rende definitiva la condanna per 5 dei dieci imputati a seguito dei
disordini verificatisi nei giorni del G8 del 2001, condannandoli a 14 anni, 12 e sei mesi, 11 e sei mesi, 10
anni e ancora 6 anni e sei mesi, per altri cinque c'è stato il rinvio alla Corte di Genova perché valuti le
attenuanti.

Una condanna chiaramente smisurata, sproporzionata e addirittura provocatoria se paragonata
alla sostanziale impunità per i dirigenti dell'ordine pubblico e per i poliziotti responsabili dell'ignobile
'macelleria messicana' che fu compiuta alla scuola DIAZ contro 93 persone inermi, sorprese e massacrate
nel sonno, alcune delle quali ridotte in fin di vita e con danni fisici permanenti.

Non hanno pagato per quel massacro i responsabili politici, Berlusconi capo del Governo, Fini
ministro dell'Interno, non ha pagato chi massacrò direttamente, coperti da una complice omertà, di fatto
non pagherà nessuno di quelli che il massacro lo organizzarono in ogni aspetto, perfino preparando
bottiglie molotov introdotte nella scuola per fabbricare false prove che giustificassero l'irruzione.

Gli alti gradi in questi anni sono stati premiati con promozioni ed incarichi di governo e nonostante
siano stati riconosciuti colpevoli in via definitiva dalla stessa Cassazione con imputazioni molto gravi, le
pene loro inflitte appaiono risibili se confrontate con quelle inflitte ai 5 compagni.

Lo stato si è autoassolto, come è sempre successo nei decenni passati per le responsabilità dei suoi
apparati nelle stragi, per i legami con la mafia e la criminalità organizzata, per i morti ammazzati nelle
strade nelle piazze come Carlo Giuliani.

Persino i giornali cosidetti democratici si sono accorti dell'enorme divario tra i capi d'imputazione,
saccheggio devastazione, ecc, e l'effettiva dimensione dei fatti addebitati, per non parlare del tempo
trascorso da allora, 11 anni!

La sentenza fa pensare piuttosto ad una vendetta postuma contro un movimento di massa che aveva
messo in difficoltà le dottrine dei grandi del mondo, ma soprattutto vuole essere un monito per chi, oggi e
in futuro, pensi di opporsi ai piani del governo italiano, ai diktat, oggi come ieri, delle banche del FMI, della
BCE, dei mercati, insomma dei detentori dei poteri forti.

Lo abbiamo visto in Grecia, lo stiamo vedendo in Spagna in questi giorni, lo abbiamo visto qui da noi,
quando alla rivendicazioni dei lavoratori, degli studenti, dei senza casa, si è risposto con le manganellate.

Ai compagni condannati e incarcerati va tutta la nostra solidarietà, ma la nostra indignazione e la nostra
rabbia saranno tanto più vere se sapremo continuare a lottare smascherando il vero volto del capitale:
lacrime e sangue, reale e non metaforico, per la stragrande maggioranza dei popoli colpiti dalle guerre
umanitarie e non, povertà insicurezza degrado sociale per i settori più deboli delle società occidentali,
opulenza e ricchezze smisurate per i potenti dell'economia e della finanza

Unione Sindacale di Base

LAVORO: TOMASELLI (USB), ORA È IMPOSSIBILE IL REFERENDUM SU RIFORMA FORNERO

COMUNICATO STAMPA


LAVORO: TOMASELLI (USB), ORA È IMPOSSIBILE IL REFERENDUM
SU RIFORMA FORNERO
ALLO SMANTELLAMENTO DEI DIRITTI SI RISPONDE CON IL CONFLITTO


“Il Presidente della Repubblica sostiene a spada tratta il Professor Monti, il quale sostiene la sua Ministro Fornero, che a sua volta è sostenuta da PD, PDL e UDC nella sua opera di smantellamento dei diritti dei lavoratori”, osserva Fabrizio Tomaselli, dell’Esecutivo Nazionale USB. “Ma tale processo è accompagnato anche da Cgil, Cisl, Uil e Ugl, che con differenti sfumature hanno di fatto accettato il ruolo di ‘notai’ di decisioni prese a palazzo Chigi e nelle stanze della BCE e della Cancelliera Merkel”.

Sottolinea Tomaselli: “Chi si è opposto sindacalmente a questo pesante attacco al lavoro e alla libertà di licenziare, e lo ha fatto anche sulla controriforma delle pensioni, sul massacro sociale determinato dall'aumento di IVA e dall'IMU, ed ora sulla nuova manovra finanziaria, che pesa sulla sanità, sul welfare, sui servizi e sui posti di lavoro dei dipendenti pubblici, è soltanto USB e il resto del sindacalismo conflittuale”.

“In una situazione tanto grave quanto l’attuale non esistono terze vie – incalza il dirigente USB - o si accetta la ricetta Monti o si pratica il conflitto. Chi si è limitato soltanto ad enunciare il conflitto, compresa la maggioranza della FIOM, ed ha puntato tutto su un Referendum sulle tematiche del lavoro affermando di voler raccogliere le firme dal prossimo settembre, forse non ha ancora realizzato che questo Referendum non si potrà fare se non tra due anni, viste le prossime elezioni politiche del 2013, e che le firme potranno essere raccolte tra più di un anno, perché ora non è possibile neanche depositare i quesiti in Cassazione. L’ art 31 della legge sui Referendum popolari prevede infatti che: ‘«Non può essere depositata richiesta di referendum nell'anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l'elezione di una delle Camere medesime».”

“Forse – conclude Tomaselli - invece di pensare a Referendum futuri, sarebbe meglio realizzare le lotte vere contro questo governo, costruendo alleanze con USB e con il resto del sindacato conflittuale, di base ed indipendente, e magari combattere veramente chi sta riducendo Cgil, Cisl, Uil e Ugl all'ombra di ciò che dovrebbe essere un sindacato”.


Roma, 12 luglio 2012



Ufficio Stampa USB

martedì 3 luglio 2012

Costituzione area programmatica di opposizione in Cgil. Nasce “La Cgil che vogliamo, opposizione organizzata”


I/le sottoscritti/e comunicano alla presidenza del Comitato Direttivo Nazionale della Cgil la costituzione dell'area programmatica “La Cgil che vogliamo, opposizione organizzata”. Detta area fa riferimento alla minoranza congressuale “La Cgil che vogliamo” per la propria collocazione negli equilibri postcongressuali della Confederazione e per tutto ciò che ne deriva sul piano statutario, salvo nel distinguersi per iniziativa autonoma, ai sensi di quanto previsto dallo stesso statuto per le aree e aggregazioni successive ai congressi, con le seguenti caratteristiche e obiettivi.

L'area ha lo scopo di organizzare ovunque nella confederazione l'opposizione alla linea politica ed al gruppo dirigente che hanno portato la Cgil alla più grave sconfitta del dopoguerra con la controriforma del lavoro e la conseguente cancellazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, Sconfitta ancor più grave perché seguita a quella sulle pensioni e collocata in un quadro di politiche economiche che continuano a colpire diritti e condizioni del mondo del lavoro.

Per l'area che si costituisce una delle ragioni di questa sconfitta è la subalternità del gruppo dirigente della Cgil al governo Monti ed al quadro politico che lo sostiene. Tale subalternità ha impedito di dispiegare tutte le forze dell'organizzazione per contrastare un governo che pratica politiche economiche ultraliberiste e antisociali, in rappresentanza dei poteri forti del paese e dei dettati della Bce e della finanza internazionale. L'opposizione ferma e rigorosa al governo Monti è invece condizione per qualsiasi tenuta e ripresa dell'iniziativa sindacale a tutela del lavoro.

L'area che si costituisce non condivide, conseguentemente la politica unitaria con Cisl e Uil intrapresa dal gruppo dirigente. Infatti i gruppi dirigenti di queste due organizzazioni sono responsabili del fiancheggiamento al governo Berlusconi, e hanno condiviso la politica antisindacale e distruttrice dei diritti della Fiat. Una unità di vertice con Cisl e Uil non può che produrre arretramenti del mondo del lavoro e infatti li sta producendo. E' invece necessaria una politica di unità a partire dai luoghi di lavoro esplicitamente indirizzata a contrastare e sconfiggere la linea della “complicità” adottata da Cisl e e Uil, mentre la democrazia sindacale piena deve diventare pregiudiziale rispetto ai rapporti unitari.

L'area che si costituisce denuncia inoltre la progressiva burocratizzazione della vita interna dell'organizzazione, con l'affermarsi di una logica di comando che colpisce il dissenso, la partecipazione democratica e la creatività dei militanti e delle lavoratrici e dei lavoratori. Al contrario proprio una fase difficile come questa dovrebbe essere affrontata valorizzando al massimo tutte le esperienze di resistenza e protagonismo nei luoghi di lavoro, facendo della democrazia la condizione preliminare di ogni iniziativa.

L'area che si costituisce ritiene necessario diffondere la critica nei confronti della linea politica e dell'operato del gruppo dirigente fino ad affermare una sfiducia politica nei suoi confronti, e intende portare nell'organizzazione questi propri giudizi così come garantito dalla statuto e dalle delibere regolamentari ad esso allegate.

Nel prossimo settembre, successivamente alla costituzione così argomentata, l'area di opposizione organizzata che oggi si costituisce presenterà un proprio più compiuto documento programmatico.

Fabrizio Burattini, Giorgio Cremaschi, Francesco De Simone, Eva Mamini, Annamaria Zavaglia,
componenti del Comitato Direttivo Nazionale

2 luglio 2012

Spending Review: USB Lancia la mibilitazione nazionale del 6 luglio



                                                                                                                                                                                                                                                                           

                                                                                                                                                                                                               COMUNICATO STAMPA


SPENDING REVIEW: MENTRE GOVERNO E SINDACATI
FANNO IL GIOCO DELLE PARTI
USB LANCIA LA MOBILITAZIONE NAZIONALE
DEL 6 LUGLIO


Con il pretesto di evitare l’aumento dell’IVA che avrebbe di per sé effetti irrimediabilmente depressivi sull’economia, il Governo e Cgil-Cisl-Uil-Ugl si apprestano a sedersi intorno ad un tavolo per definire un piano di tagli che dovrebbe trovare risorse fra i 5 e i 10 miliardi di euro.
La spending review, spacciata come il rimedio a tutti i mali, aprirà per milioni di lavoratrici e lavoratori un drammatico orizzonte, fatto di esuberi, mobilità, licenziamenti e ulteriori tagli alle retribuzioni e ai pochi diritti rimasti, mentre allo Stato Sociale verrà assestato un colpo mortale.
La spending review ha già mostrato il suo vero volto con l’emanazione del decreto legge n. 87/2012 che dimezza le amministrazioni del comparto fiscale, avvia la chiusura di centinaia di uffici e rende chiara la volontà effettiva di questo governo di far pagare le tasse solo ai lavoratori dipendenti e ai pensionati, mentre ad esempio non si occupa di Equitalia che è una società privata che lucra sulla riscossione dei tributi.
In continuità con tutte le iniziative di lotta e mobilitazione di questi mesi, incluso lo sciopero generale del 22 giugno scorso, USB Pubblico Impiego sta dando una risposta immediata al decreto legge n. 87/2012 già questa mattina con un presidio ed un’assemblea pubblica convocati a Piazza di Monte Citorio dalle 11 alle 14. Da questa piazza verrà lanciata la giornata nazionale di mobilitazione del 6 luglio, che coinvolgerà le lavoratrici e i lavoratori pubblici e gli utenti dei servizi proprio a partire dai luoghi di lavoro, diventati il primo immediato bersaglio dei tagli che il governo ha già deciso e si appresta a inasprire ulteriormente.

Roma, 3 luglio 2012
Ufficio stampa USB