giovedì 30 maggio 2013

Ilva: senza un vero piano di risanamento ambientale non esiste un futuro per i lavoratori e per lo stabilimento.

Senza il piano di risanamento gli sciacalli continueranno a ingrassare sulla pelle dei lavoratori, dei tarantini e della collettività con la cassa integrazione. Una volta spremuto “il limone” non è difficile immaginare cosa farà la proprietà. Flmuniti-Cub è  mobilitata per realizzare i seguenti obbiettivi

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Fondo pensione “PERSEO”... Non facciamoci ingannare

 Da settembre anche i lavoratori degli Enti Locali possono aderire al fondo di previdenza complementare (PERSEO), fortemente voluto da CGIL CISL UIL, come quelli già istituti per i comparti Scuola (Espero) e Ministeri (Sirio).

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I dati della disoccupazione nell'eurozona. I Dati si commentano da soli !

Da notare che il dato Italiano è riferito al quarto trimestre 2012 e la previsione è di un ulteriore aumento

sabato 11 maggio 2013

11 Maggio 2013 a Bologna nasce "Ross@"


Ross@:
Rete per l'Organizzazione Sociale, Solidale e... la chiocciolina finale sta a declinare Anticapitalismo, Antifascismo, Antirazzismo, Antisessismo, Ambientalismo. Praticamente tutta la chiameranno "Rossa", anche per rivendicare un colore che nella storia e nell'identità del movimento operaio ha un suo posto speciale e di estrema attualità.
Il documento finale
La diretta degli interventi su libera.tv

http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2013/5/11/33567-a-bologna-e-nata-ross/


venerdì 10 maggio 2013

I giovani precari di oggi saranno i vecchi poveri di domani



Luigi Pandolfi - 09 Maggio 2013 da www.economiaepolitica

Si dice spesso, di questi tempi, che è molto alta la probabilità che chi è giovane e precario oggi sarà un vecchio povero domani.[1] Questa affermazione necessita ad ogni buon conto di un riscontro. In linea generale si arriva a questa conclusione attraverso un ragionamento molto semplice, a dir poco banale: per avere una pensione bisogna lavorare un certo numero di anni e versare una certa quantità di contributi previdenziali. C’è quindi un legame strettissimo tra la qualità della vita lavorativa e ciò che si andrà a prendere di pensione, se una pensione si prenderà.
L’attuale condizione lavorativa dei giovani, segnata dal ritardo con cui si entra nel mondo del lavoro e dalla sua discontinuità, dà la garanzia di una pensione sicura e dignitosa? Per rispondere a questa domanda è necessario innanzitutto comprendere quali sono le regole in materia di previdenza oggi vigenti in Italia[2].
Com’è noto, l’ultimo intervento sul nostro regime pensionistico è stato fatto dal governo dei tecnici, presieduto dal professor Monti. In estrema sintesi la riforma ha previsto un’accelerazione del passaggio dal sistema di calcolo retributivo a quello contributivo. Se prima l’importo della pensione veniva calcolato in percentuale alle ultime buste paga percepite dal lavoratore, d’ora in avanti esso sarà calcolato soltanto sulla base dei contributi effettivamente versati. Scomparirà inoltre la pensione di anzianità, quella che si maturava combinando un certo numero di anni contributivi con l’età anagrafica. Adesso, per andare in pensione, a valere saranno solo gli anni di contribuzione: 41 anni e un mese di contributi per le donne e 42 anni e un mese per gli uomini.
Per la pensione di vecchiaia saranno richiesti 66 anni per i maschi e 62 anni per le donne, a condizione che si siano maturati almeno vent’anni di contributi. Altrimenti l’asticella salirà a settant’anni. Fermiamoci qui. Un sistema così congegnato non c’è dubbio che andrà a penalizzare fortemente, irrimediabilmente, le nuove generazioni. Non è necessario essere dei tecnici per capire che chi ha vissuto tutta la propria vita lavorativa passando da stati di non-occupazione ad impieghi temporanei con contratti flessibili non potrà mai e poi mai contare su una continuità contributiva, ma soprattutto su un certo numero di contributi, che gli consentano di raggiungere i livelli minimi richiesti per avere una pensione. È una questione di numeri, non di politica, né culturale o ideologica.
Un giovane nato intorno alla metà degli anni ottanta, tanto per fare un esempio, che ha fatto regolarmente gli studi fino all’università, senza perdere un solo anno, trovando un impiego il giorno dopo aver conseguito la laurea e lavorando ininterrottamente per 42 anni con uno stipendio di media entità,  dopo i sessant’anni con questa riforma potrebbe ricevere una pensione più o meno dignitosa. Ma quanti sono in Italia i giovani con diploma o con laurea che immediatamente dopo il conseguimento del titolo di studio iniziano a lavorare con contratti a tempo indeterminato, per mansioni corrispondenti alla propria specializzazione? E’ noto a tutti: non più del 10%.
Cosa si deve dedurre, quindi, da questo stato di cose? Che l’esecutivo Monti, proseguendo su un sentiero già battuto dai precedenti governi,  ha fatto una riforma del sistema pensionistico per il 10% dei giovani italiani, punendo il restante 90%. Ma non è finita qui. Questa riforma ha aggiunto al danno la beffa. I precari sono sì precari, ma i contributi, sebbene a spezzatino, li versano anche loro. Sia che abbiano contratti di lavoro a tempo determinato, sia che abbiano contratti di collaborazione a progetto con partita Iva.
Negli ultimi anni sono aumentate abbondantemente le partite Iva nel nostro paese, ma non solo e non tanto perché sono nate nuove aziende o sono cresciuti vistosamente gli studi professionali: dietro la maggior parte di queste partite Iva ci sono lavoratori subordinati mascherati. Sono state tante le aziende italiane in questi anni, ma la pubblica amministrazione non è stata da meno, che hanno preso il proprio personale con contratti di collaborazione a progetto o trasformato un precedente rapporto di lavoro subordinato in una prestazione d’opera dietro fatturazione, per non avere vincoli contrattuali con i lavoratori, per non pagare contributi, per abbassare notevolmente il costo del personale. Solo nel 2012 sono state circa 549.000 le nuove aperture di partita Iva (+2,2% rispetto al 2011) e più della metà di queste sono riferite a giovani di età inferiore ai 35 anni[3].
In tutti questi contratti di collaborazione c’è scritto sempre, a chiare lettere, una frase di questo tipo: “Le suddette attività hanno carattere professionale autonomo e non potranno mai essere configurate come rapporti di lavoro subordinato o di collaborazione”. Si può immaginare il sollievo per un datore di lavoro, ma anche la frustrazione di un giovane, spesso laureato, che deve vestire l’abito del libero professionista svolgendo di fatto un lavoro da subordinato.
A differenza di un lavoratore dipendente tradizionale, un collaboratore a progetto è tenuto a versare esso stesso i propri contributi, in rapporto al fatturato. E dove vanno questi contributi? C’è un fondo dell’Inps, il Fondo Gestione Separata, in cui confluiscono i contributi di tutti i titolari di partite Iva non iscritti a particolari albi professionali. Si tratta di un salvadanaio che raccoglie di tutto, un pozzo profondo in cui finiscono ogni anno circa 8 miliardi di Euro.
Dovrebbe essere il salvadanaio in cui i precari, tanti lavoratori atipici e parasubordinati, ripongono i loro soldini per garantirsi una pensione domani. Ma, purtroppo per loro, non è così. Perché quei soldi serviranno certamente a tenere in ordine i conti della previdenza italiana ed a pagare l’assegno ai pensionati di oggi, ma non serviranno a pagare la pensione a chi ce li ha messi, sacrificando mediamente il 20% del proprio reddito.
Destino amaro e beffardo quello della generazione dei precari, vittime e cariatidi di un sistema che non sa valorizzare i suoi figli migliori.

Dagli 8 miliardi di euro l’anno attuali, secondo le stime dell’Istituto di previdenza (INPS), il fondo si attesterà intorno ai 17-18 miliardi negli anni ’30, andando a  compensare parzialmente il deficit delle altre gestioni.
E che il sistema non sappia, non voglia, prendersi cura dei suoi figli è testimoniato anche da un altro aspetto implicito nel regime pensionistico: la discrasia tra volontà di rilancio dell’occupazione e innalzamento a limiti intollerabili dell’età pensionabile. Anche qui la conclusione si presenta in tutta la sua banalità: più alta sarà l’età prevista per andare in pensione, più lento e macchinoso sarà il processo di ricambio nelle postazioni lavorative.
L’attuale situazione italiana richiede un cambiamento radicale dei punti di vista sull’economia e sulla società. Soprattutto è necessario che venga rovesciata la logica che ha ispirato nell’ultimo ventennio i governi in tema di lavoro, di previdenza, di opportunità da offrire ai giovani. Questa società è la metafora dell’antropofagia ugoliniana, mangia i propri figli negandosi così una prospettiva di futuro.
[1] Quest’articolo sviluppa un tema già affrontato nel mio libro Crack Italia, la politica al tempo della crisi, pagine 204, anno 2012, edito da Laruffa.
[2] Decreto legge n.201 del 2011 (decreto Salva Italia ), successivamente convertito nella Legge n.214/2011.
[3] Fonte: Ministero dell’Economia/Dipartimento delle Finanze.

giovedì 2 maggio 2013

No al porcellum sindacale

 di Giorgio Cremaschi
Nella mia lunga esperienza sindacale non mi era mai capitato di vivere in prima persona la scena madre del film 'L'uomo di marmo'.. Ora mi è successo.
Ero sfuggito alle maglie strette della selezione preventiva  di coloro che avevano diritto a  partecipare alla riunione degli esecutivi CGIL CISL UIL. Su circa 150 persone ero la sola in dissenso con la proposta sulla rappresentanza illustrata dalla relazione di Bonanni.
Ho pertanto presentato la mia regolare richiesta di intervento, a cui non ho avuto alcuna risposta da una presidenza che guardava le nuvole. Allora, conclusa la relazione sono intervenuto con  una mozione d'ordine, chiedendo di sapere se il dibattito era aperto a tutti i partecipanti che formalmente ne avevano il diritto oppure no.
Angeletti mi ha risposto a nome di tutta la presidenza di no, parlavano solo gli oratori concordati preventivamente dalle segreterie... A questo punto ho detto che fare una riunione sulla democrazia ed escludere preventivamente chi è in dissenso, anche se avrebbe tutti i diritti  di intervenire,  è una precisa rappresentazione di ciò che si vuole fare.
Ero solo in quella sala a non essere d'accordo, che paura avevano di sentire le mie ragioni per 5 minuti? Ma non volevano proprio sentirle e quando la mia indignazione mi ha spinto a dire alle loro facce ipocritamente sorridenti che si dovevano vergognare e che in fondo la loro intolleranza corrispondeva a quello ha stavano decidendo sulla rappresentanza, cioè la cancellazione del dissenso, sono esplosi.
Ho visto una mano che cercava di staccare la corrente dal microfono, mentre diversi segretari confederali mi si avvicinavano e cominciavano a spingermi giù dal palco, uno di loro mi sussurrava di preoccuparmi per la mia salute. Interveniva il servizio d'ordine che a spintoni mi accompagnava fuori dalla porta della sala. Se non fossimo stati in una riunione degli esecutivi CGIL CISL UIL si sarebbe detta una scena di violenza.
Ripeto io avevo formale diritto a parlare in quella sala, ma quel diritto non mi è stato negato per caso.
L'accordo sulla rappresentanza che CGIL CISL UIL stanno definendo con la Confindustria è infatti un brutale atto di normalizzazione autoritaria delle relazioni sindacali. Esso stabilisce che il diritto alla rappresentanza ce l'hanno solo coloro che preventivamente accettano quell'accordo. Cioè puoi partecipare alla misurazione della rappresentanza e alle elezioni delle rsu solo se accetti la flessibilità e le deroghe ai contratti e soprattutto se ti impegni a non scioperare se in disaccordo. Esattamente quanto è avvenuto alla Fiat di Marchionne,  che ora viene esteso a tutti.
La nuova rappresentanza sindacale seleziona preventivamente chi ha il diritto alla democrazia e chi no. È il tavolo che che decide chi rappresenta i lavoratori e non sono i lavoratori che scelgono chi li rappresenta al tavolo.
È come se la riforma elettorale del governo Letta stabilisse che alle prossime elezioni politiche potranno partecipare solo coloro che votano oggi la fiducia al governo delle larghe intese. Non vorrei che l'accordo sindacale gli suggerisse l'idea.
D'altra parte tutto questo è in perfetta sintonia con l'impianto politico del governo appena varato, in un certo senso ne rappresenta il versante corporativo. CGIL CISL UIL e Confindustria varano oggi il governissimo delle parti sociali. Ma il fatto più grave non è  neanche questo. Il fatto più grave è  che chi non è d'accordo non ha più né diritto di parola né diritto di rappresentanza.
Questo è il  fatto enorme, enorme è la sopraffazione che si sta organizzando e che, come sempre, per riuscire ha bisogno del silenzio. Che viene alimentato dalla solita stampa  di governo, che ora esalta la ritrovata unità sindacale.  Quando invece quella di oggi è l'esatto opposto della unità sindacale degli anni 60 e 70. Quella apriva  la via alle conquiste del lavoro e della democrazia, quella includeva. Questa subisce e accetta le regole imposte dal mercato e dalle imprese, riduce la democrazia, esclude.
Per questo bisogna fare tacere ogni voce di dissenso.
L'accordo sulla rappresentanza è troppo scandaloso perché lo si conosca veramente. Deve passare attraverso la rappresentazione politica mediatica che ne cancella i contenuti reali. Le voci fuori dal  coro sono pericolose...qualcuno potrebbe accorgersi che il re è davvero nudo.
Per questo non ci fermeremo e continueremo a spiegare con tutte le forze che abbiamo cosa è davvero il porcellum sindacale e perché bisogna combatterlo.